Di notte non scrivo (quasi) mai - tranne quando serve, come oggi.
Ho visto "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino e devo dire che mi è piaciuto assai, ma non per piaggeria all'Oscar o per nazionalismo cinefilo tristo. Per chi non l'ha capito - e sono la maggioranza - trattasi della storia di uno scrittore di successo, che ha fatto successo da giovane e ora, che è vecchio, capisce che che la sua vita passata a divertirsi (poco) e ad apparire (tanto) nei festini dell'alta borghesia romana, in fondo è stato tempo sprecato.
Questa rivelazione lo porterà a tornare a scrivere, quarant'anni dopo. E lo veniamo a sapere proprio negli ultimi secondi del film, un film felliniano, lunghissimo e quasi senza storia, proprio come i film di Fellini. In più di Fellini ha però questa forte critica sociale molto ben celata, all'arroganza dell'eccesso e del lusso. L'unica velata polemica che mi viene da fare nei confronti dell'audience italiana sbadigliante, è: perché tutti applaudite come foche al circo Fellini e questo che ne è del tutto simile invece non piace e annoia? Ve lo dico io, il perché. Perché siamo un popolo di pecoroni, in cui pochi hanno il coraggio di un opinione personale. Altra grande cosa che viene messa in risalto dal film, per inciso.
La pellico è nient'affatto un omaggio alla bellezza italiana o a quella di Roma, ma un omaggio alla bellezza di ogni singolo caso umano presentatoci: dai conti che si vendono a serata (mi sono rimasti impressi), alla spogliarellista malata, triste e sola figlia del magnaccia, agli scrittori pseudo intellettuali in un film in cui tutti, per primo il protagonista, fingono e dissimulano di essere altri da ciò che sono per nascondere la loro pochezza, i loro vizi, le poche virtù, la vecchiaia, la morte.
Sorrentino aiutato dal suo enorme attore, Peppe Servillo, vera maschera di ogni (o quasi) suo film, è diventato negli anni il mio regista preferito, il che, non ve ne fregherà niente, ma è compito arduo. E' il suo film più impegnativo. E chi dopo averlo visto "deve ancora metabolizzarlo", è purtroppo un altro spettatore abituato a spettacoli andrenalinici e film sparati ai cento all'ora, ricchi di citazionionismi futili o di effetti speciali, per non far annoiare un pubblico abituato a consumare il film, più che a vederlo come un opera d'arte, quale dovrebbe essere. E come opera d'arte, anche La Grande Bellezza può essere definito anche "La grande noiezza", come ho visto scrivere a uno molto popolare che considera Youtube una gran cosa, o "una cagata pazzesca", in un meme di Fb che scimmiottava un altro colosso del cinema italiano come Fantozzi. Tutte le opinioni sono valide e equivalenti di fronte a un opera d'arte.
Prima di mettermi alla visione, avevo già giudicato il film e gli americani che lo hanno insignito dell'Oscar come null'altro che un insieme di stereotipi dell'italiano medio, cazzeggiatore e sognatore, che all'americano medio piace molto.
Dopo averlo visto, devo ricredermi. La Grande Bellezza è anche la grande bellezza della lentezza della narrazione, ma non dello stereotipo. Ci sono molti "tipi" umani a noi familiari in Italia, macchiettistici nelle loro bizzarrie molto felliniane e molto italiane, ma mai banalizzati.
Vivevo di pregiudizi, e mi sono ritrovato a vergognarmene, come dovrebbe accadere sempre.