La
riforma
del
lavoro
elaborata
dal
governo,
non
si
ferma
al
cambiamento
dell'articolo
18.
Dovrà
a
giorni
essere
sottoposta
al
Parlamento
ed
è
una
riforma
complessiva
che
tocca
non
solo
la
flessibilità
in
uscita
(Art.18)
ma
anche
in
entrata
e
gli
ammortizzatori
sociali.
E'
vero
che
ci
saranno
licenziamenti
più
facili
in
cambio
di
nuove
tutele?
Sono
un
lavoratore
a
tempo
indeterminato,
devo
preoccuparmi?
Cosa
cambia
per
i
precari?
E'
vero
che
c'è
l'abolizione
dell'articolo
18?
E'
vero
che
con
l'abolizione
dell'articolo
18
si
risolve
la
dualità
del
mondo
del
lavoro
italiano?
Ho
tentato
di
dissipare
i
tanti
dubbi
con
un
analisi,
spero
dettagliata
della
riforma,
per
capire
cosa
cambia.
Per
ogni
paragrafo
ho
analizzato
senza
aggiungere
miei
personali
commenti,
che
invece
trovate
in
conclusione
del
paragrafo
e
in
corsivo
– una
questione
di
trasparenza.
Riforma dell'art.
18. Non
c'è
nessuna
abolizione
dell'articolo
18. L'idea
era
riformare
l'art.
18
dello
Statuto
dei
lavoratori,
per
dare
più
sicurezze
alle
imprese
su
come
finiscono
le
procedure
di
licenziamento,
ma
nello
spesso
lunghe
e
costose
e
nello
stesso
tempo
bisognava
proteggere
meglio
i
lavoratori,
sopratutto
quelli
duali.
Il
licenziamento
potrà
essere
disciplinare,
economico/organizzativo
-
legittimo,
o
discriminatorio
– illegittimo.
Finora
non
era
prevista
la
possibilità
di
un
licenziamento
espressamente
organizzativo,
cioè
non
era
possibile
per
l'imprenditore
disfarsi
facilmente
di
un
lavoratore
con
contratto
a
tempo
indeterminato
per
pure
esigenze
di
mercato,
ora
è
possibile.
Grande
differenza
è
prevista
per
i
licenziati
disciplinari
ed
economici
e
i
licenziati
illegittimi
cioè
per
discriminazione.
Per
gli
ultimi,
le
cose
resteranno
come
ora,
in
questo
senso
l'articolo
18
rimane
inalterato
con
un
possibile
reintegro
in
azienda,
mentre
per
i
primi
è
previsto
il
ricorso
al
giudice
e
il
solo
indennizzo
economico.
Dal
momento
che
è
ormai
scontato
che
il
licenziamento
potrà
essere
motivato
da
ragioni
"economiche
o
organizzative",
nessun
imprenditore
sarà
così
sprovveduto
da
attuare
licenziamenti
discriminatori
o
persino
disciplinari:
un
problema
organizzativo
-
con
la
necessità
di
ristrutturazione
che
hanno
tutte
le
aziende
in
questa
fase
-
si
trova
molto
facile
ed
è
questa
la
strada
per
aprire
a
futuri
licenziamenti
di
massa.
Tutto in mano
ai giudici. Il
giudice
si
ritroverà
a
dover
decidere
se
il
licenziamento
è
stato
disciplinare
o
economico,
con
quindi
fortissima
spinta
per
gli
imprenditori
a
far
valere
davanti
al
giudice
il
licenziamento
come
disciplinare
per
pagare
indennizzi
molto
più
ridotti.
Dopo
aver
deciso
sulla
tipologia
di
licenziamento,
cioè
aver
deciso
se
si
tratta
di
licenziamento
legittimo
o
illegittimo,
nel
caso
di
licenziamento
legittimo,
cioè
disciplinare
o
economico,
il
giudice
dovrà
decidere
poi
anche
sul
reintegro
o
liquidazione
del
licenziato.
«Il
potere
dei
giudici
è
destinato
ad
aumentare
ulteriormente,
e
la
riforma
non
darà
più
certezze
alle
imprese,
perché
i
tempi
della
giustizia
si
allungheranno»,
commenta
l'economista
Tito
Boeri.
Nuove tutele
assenti. E'
assolutamente
«falso
che
il
governo
introduca
nuove
tutele»,
affermano
i
docenti
Umberto
Romagnoli,
Luigi
Mariucci,
Piergiovanni
Alleva
e
Giovanni
Orlandini
e
una
cinquantina
di
noti
legali
di
tutta
Italia.
E
lo
spiegano
in
un
documento
per
punti,
pubblicato
da
Il
Manifesto
e
taciuto
dagli
altri
giornali:
1)
la
nullità
dei
licenziamenti
discriminatori
nelle
piccole
imprese
sotto
i
16
dipendenti
esiste
fin
dal
1990
(legge
108,
art.
3)
2)
la
trasformazione
a
tempo
indeterminato
dopo
contratti
precari
di
3
anni
è
già
disciplinata
dall'art.
5
comma
4
bis
del
Dlgs.
368/01,
il
quale
recita:
'Qualora
per
effetto
di
successione
di
contratti
a
termine
per
lo
svolgimento
di
mansioni
equivalenti
il
rapporto
di
lavoro
tra
lo
stesso
datore
di
lavoro
e
lo
stesso
lavoratore
abbia
complessivamente
superato
i
36
mesi
comprensivi
di
proroghe
e
rinnovi,
indipendentemente
dai
periodi
di
interruzione
che
intercorrono
tra
un
contratto
ed
un
altro,
il
rapporto
di
lavoro
si
considera
a
tempo
indeterminato».
Quindi
a
licenziamenti
effettivamente
più
facili
non
corrisponde
nessuna
nuova
tutela.
L'ASPI non è flexicurity.
L'Assicurazione Sociale
per l'Impiego vuole essere una sorta di sostituirà dal 2017 il
sussidio di disoccupazione, al cassa integrazione ordinaria. Mentre
la cassa integrazione straordinaria verrà cancellata. L'Aspi durerà
un anno per i lavoratori fino a 54 anni e un anno e mezzo per quelli
più anziani, l’importo massimo erogato potrà essere di 1.119 euro
al mese. Il ministro del Lavoro ha affermato che «l'obiettivo è
rendere universalistico uno strumento a difesa dei lavoratori in
periodo di disoccupazione», questo è falso. Siamo molto lontani
dalla protezione sociale diffusa a tutti che c'è in tutti gli altri
paesi d'Europa. Infatti l'Aspi si rivolge solo ai lavoratori
dipendenti che hanno perso il lavoro e perciò presenta tutte le
carenze del nostro sistema di welfare state cioè copre solo una
platea ridotta di cittadini: l'Aspi non aiuterà tutti quei
lavoratori che non sono mai stati assunti con contratti a tempo
indeterminato. La nuova misura esclude perciò i giovani, i precari,
gli inoccupati e chi cerca il primo impiego. Tutti questi
continueranno a restare senza reddito durante il periodo di
inoccupazione o disoccupazione tra un lavoro e l'altro.
Le risorse addizionali per l'estensione
degli ammortizzatori sociali cioè per l'Aspi, con la graduale
riduzione della mobilità fino a convergere nel 2017 nella nuova
Aspi, sarà di 1,6-1,7 miliardi di euro. Aspi perciò
non è la riforma
degli ammortizzatori sociali
di cui l'Italia ha
bisogno, ma un estensione
ridotta di alcuni benefici
monetari a categorie che
precedentemente ricevevano ammortizzatori
più ridotti. Chi invece
era escluso dagli
ammortizzatori sociali rimarrà
escluso.
La riforma non
riordina gli istituti
presenti. Rimane
la
cassa
integrazione
divisa
in
tre
tipi
come
lo
è
stata
finora,
ossia
ordinaria,
in
deroga
e
straordinaria.
Rimangano
anche
i
sussidi
specifici
all'edilizia
e
all'agricoltura
che
hanno
sistemi
di
ammortizzatori
sociali
differenziati.
Rimane
perciò
l'attuale
giungla
di
trattamenti
specifici,
un
assetto
legislativo
caotico.
Altro
aspetto
che
rappresenta
un
solco
tra
il
sistema
italiano
e
gli
altri
sistemi
avanzati.
Inoltre
senza
riordino
degli
istituti
presenti
non
ci
sarà
neanche
il
logico
risparmio
conseguente.
Flessibilità in
entrata. Il
percorso
lavorativo
comincerà
con
l’apprendistato
– secondo
quanto
affermato
dal
ministro
Fornero
– apprendistato
che
diventa
un
investimento
per
la
formazione
e
non
uno
strumento
di
flessibilità.
Infatti
l'Aspi
include
per
la
prima
volta
anche
gli
apprendisti.
Apprendistato
è
un
tipo
di
contratto
molto
instabile
che
non
prevede
la
sicura
assunzione
alla
sua
conclusione
ed
è
inoltre
riservato
ai
giovani,
«e
sappiamo
che
oggi
più
del
50%
dei
precari
hanno
più
di
35
anni
-
puntualizza
l'economista
Tito
Boeri
-
è
difficile
pensare
che
una
donna
che
esce
da
un
periodo
di
maternità
o
un
lavoratore
cinquantenne
possano
rientrare
nel
mondo
del
lavoro
da
apprendisti».
Quindi
non
c'è
una
vera
misura
universalistica
e
il
nuovo
ammortizzatore
sociale
riguarderà
solo
circa di
100
mila
persone
in
più
rispetto
a
prima.
Centomila
(cioè
gli
apprendisti)
sui
4
milioni
di
precari
oggi
presenti.
Una
goccia
nel
mare.
Le imprese pagheranno l’1,4%
in più per utilizzare
contratti flessibili.
Questo
contributo
servirà
a
finanziare
l’Aspi.
Saranno
esclusi
da
questo
aumento
i
contratti
stagionali
e
sostitutivi.
Ci
saranno
comunque
degli
incentivi
per
la
stabilizzazione
del
lavoro?
No.
Perché
secondo
illustri
economisti
l'aggravio
costi
per
le
imprese
rischia
di
trasferirsi
sulla
paga
dei
lavoratori,
perché
nella
riforma
non
c'è
una
decisione
sul
salario
minimo.
Probabile
perciò
una
riduzione
degli
stipendi
dei
dipendenti
precari,
e
non
un
aumento.
Stage. Saranno
possibili
solo
prima
del
compimento
degli
studi
e
non
più
dopo
e
dovranno
essere
retribuiti.
L'entità
della
contribuzione
non
è
stata
stabilita
nella
bozza
presentata
fin'ora.
Perciò
paradossalmente
si
potrebbe
anche
essere
“retribuiti”
con
1
euro
al
mese.
Non c'è nessun
miglioramento per i
precari. Inoltre
la riforma non prevede la riduzione delle attuali 46
figure
contrattuali
atipiche
presenti, sembra
destinata
a
sparire
forse
solo l'asspa,
acronimo
per
associati
in
partecipazione.
Maggiori
tutele
sono
previste
solo
per
gli
apprendisti.
Non
è
una
mia
opinione
che
non
ci
sarà
nessun
miglioramento
per
i
precari,
ma
la
semplice
verità.
Questo
è
precisa
decisione
del
governo,
il
quale
nella
riforma
generale
non
introduce
né
una
misura
per
la
riduzione
della
povertà
e
contrasto
allo
sfruttamento
come
è
il
salario
minimo,
né
il
salario
di
cittadinanza
o
una
misura
universalistica
equivalente,
che
in
altri
paesi
europei
esiste
già.
Nessuna modifica
art.18 per gli statali.
Oltre
a
non
risolvere
i
problemi
strutturali
del
mercato
del
lavoro,
cioè
la
sua
dualità,
la
riforma
pare
non
avrà
effetti
per
i
lavoratori
statali,
introducendo
perciò
un
altra
discriminazione
o
se
volete,
più
blandamente,
un
altra
dualità
tra
chi
è
statale
e
chi
lavora
nel
settore
privato.
Scelta
bizzarra
e
discutibile,
se
si
considera
il
fatto
che
i
lavoratori
che
maggiormente
hanno
bisogno
di
aiuto
e
maggiore
stabilità
si
trovano
in
maggioranza
nel
settore
privato,
sebbene
anche
il
settore
pubblico
abbia
utilizzato
precarietà
diffusa.
Problema di
metodo. Con
questa
riforma
ai
sindacati
confederali
sarà
impedito
di
esprimere
opinioni
sui
licenziati.
Il
governo
ha
effettivamente
dialogato
poco
l'ultima
parola
spetta
al
Parlamento.
La
riforma
spacca
i
sindacati
e
mette
all'angolo
la
Cgil.
Siamo
lontani
anni
luce
dalla
cogestione
tedesca
(che
pare
funzioni
e
sia
quella
formula
che
rende
l'economia
tedesca
la
più
forte
del
continente
e
molto
competitiva
a
liv
mondiale)
ma
anche
dalle
tutele
di
paesi
assai
meno
industrializzati
e
sviluppati
di
noi,
come
Spagna,
Romania,
Croazia
ecc
No dimissioni in bianco
e congedi paternità. Nella
riforma
è
prevista
una
disposizione
contro
le
dimissioni
in
bianco.
La
pratica
barbara
prevede
che
alle
donne
venga
chiesto
di
firmare
le
proprie
dimissioni
su
un
foglio
bianco
e
vengono
minacciate
così
di
essere
licenziate
qualora
restassero
incinte.
Previsti
congedi
di
paternità
obbligatori
finanziati
dal
ministero
del
Lavoro,
così
da
favorire
l’occupazione
delle
donne.
Questa
è
la
parte
positiva
della
riforma
e
riguarda
la
famiglia.
Importante
che
si
ragioni
anche
del
rapporto
tra
condizione
famigliare
e
lavoro,
quando
si
legifera
di
lavoro.
E'
una
prassi
in
Europa,
prima
volta
in
Italia.
L'ultima
parola
spetterà
al
Parlamento.
La
riforma
aiuta
decisamente
i
licenziamenti
quindi
gli
imprenditori
e
danneggia
senza
se
e
senza
ma
i
lavoratori.
L'idea di fondo era quella di rendere il mondo del lavoro più
elastico, favorendo si il licenziamento – uscita – ma anche
l'entrata nel mondo del lavoro, e il periodo tra un lavoro e l'altro
con l'Aspi. Tuttavia l'Aspi appare inadeguata ma il
problema vero è che la riforma non migliora le condizioni di chi
vorrebbe essere lavoratore ma ancora non lo è (giovani) o rischia di
non esserlo più a breve (precari), le
protezioni sociali si concentrano ancora esclusivamente sui
lavoratori dipendenti tradizionali e il licenziamento economico è un
arma a doppio taglio in un periodo di crisi economica.
pubblicato anche su ilbolognino.info