L'Ue ha deciso
di introdurre nelle
Costituzioni degli stati
membri il fiscal compact,
cioè
l'obbligo
di
pareggio
di
bilancio.
Solo
Gran
Bretagna
e
Repubblica
Ceca
hanno
detto
di
no. L'Italia
aveva già intrapreso questa scelta di politica economica, infatti
l'iter di riforma costituzionale era iniziato lo scorso 30 novembre
2011 e al Senato della Repubblica lo scorso 15 dicembre 2011. Le
riforme costituzionali prevedono un iter legislativo rafforzato, con
due deliberazioni successive di entrambi i rami del Parlamento, prima
Camera e poi Senato a distanza di tre mesi l'una dall'altra e a
maggioranza qualificata. La Camera il 5 marzo ha approvato il
pareggio di bilancio con maggioranza bulgara: 489 favorevoli, 3
contrari e 19 astenuti. Ora il testo deve ancora tornare al Senato
per l'ultimo voto e poi la Costituzione repubblicana sarò
modificata.

Ma cos'è il
“pareggio di bilancio”?
Si stabilisce che le entrate fiscali, cioè la quantità di gettito
incassato con le imposte dallo Stato e dagli enti locali, debba
essere pari alle uscite, cioè alle spese per tutti gli aspetti del
bilancio pubblico ma al netto degli interessi sul debito. Questo
significa che i paesi che già spendono quote rilevanti dei propri
bilanci per pagare gli interessi sul proprio debito pubblico invece
che usare quei soldi per i servizi, come l'Italia, vedranno
ulteriormente ristretta la propria autonomia fiscale e di decisione
di spesa. La nuova formulazione della Costituzione prevede però la
possibilità di fare debito, fino a un tetto del 3% di deficit, ma
solo per finanziare “investimenti”. Dagli anni 90 ad oggi la
maggior parte del deficit accumulato è stato fatto a causa delle
enormi spese sostenute per spesso inutili e incomplete grandi opere
pubbliche. Queste, come l'inutile e costosissima Tav, ricadrebbero
tra le voci di investimento. Anche le spese militari non verrebbero
perciò frenate, perché potrebbero essere camuffate da investimenti.
Perciò
il
pareggio
di
bilancio,
lungi
dal
dare
maggiore
disciplina
fiscale
e
frenare
la
dilapidazione
di
risorse
pubbliche
che
finiscono
in
mano
alle
cricche
e
alle
mafie,
si
rivolge
esclusivamente
al
bilancio
corrente,
fatto
di
spese
“vive”
e
indirizzate
ai
servizi
pubblici
essenziali
come istruzione e sanità, università.
Addio autonomia
fiscale locale. La
modifica
dell'articolo
117
Cost.,
decide
l'«armonizzazione
dei
bilanci
pubblici»
e
che
la
competenza
legislativa
diventa
di
esclusiva
statale
e
non
più
come
ora,
dopo
la
riforma
del
Titolo
V,
una
competenza
legislativa
concorrente
tra
Stato
e
regioni.
Gli
enti
locali
quindi
perdono
autonomia
di
bilancio
e
la
loro
autonomia
viene
condizionata
al
“rispetto
dell'equilibrio
dei
relativi
bilanci”;
poi
si
decide
che
le
autonomie
territoriali
concorrano
“ad
assicurare
l'osservanza
dei
vincoli
economici
e
finanziari
derivanti
dall'ordinamento
dell'Unione
europea”.
Con
la
fine
dell'autonomia
fiscale
locale
si
pone
fine
sul
nascere
al
federalismo
fiscale,
con
requiem
alle
velleità
leghiste.
Infatti
la
spesa
e
le
imposte
potranno
essere
decise
a
livello
locale
ma
entro
una
disciplina
di
pareggio
relativo
alle
stesse
autonomie
locali,
regioni
e
province.
Premi nobel
contro. 5 premi Nobel per l'economia (Kenneth Arrow, 1972;
Peter Diamond, 2010; William Sharpe, 1990; Eric Maskin, 2007; Robert
Solow, 1987) hanno lanciato un appello indirizzato al Presidente Usa
Obama contro il pareggio di bilancio, indirettamente l'appello è
riferito anche all'Ue. Per i nobel «inserire nella Costituzione il
vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica
estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un
tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le
cose, avrebbe effetti perversi in caso di recessione» amplificando
gli effetti nefasti. Le
nuove
disposizioni
costituzionali
si
applicano
dall'esercizio
finanziario
relativo
all'anno
2014,
proprio
quando
la
nostra
economia
uscirà
definitivamente
dalla
crisi
iniziata
nel
2009,
perciò
questa
decisione
avrà
con
tutta
probabilità
l'effetto
di
deprimere
ancora
la
ripresa
futura.
Una scelta
politica neoliberista. La
Costituzione
italiana
e
i
costituzionalisti
avevano
deciso
di
non
imporre
una
decisa
direzione
economica
al
paese
lasciando
ai
governi
la
scelta
della
politica
fiscale
ed
economica
da
attuare.
La
Costituzione
perciò
non
aveva
scelto
una
politica
fiscale
al
fine
di
lasciare
libertà
d'azione
politica:
dirigismo
di
stampo
socialista,
comunista
e
socialdemocratico
o
liberalismo.
Ora,
imponendo
il
pareggio
di
bilancio
in
Costituzione
si
fa
una
precisa
scelta
ideologica
di
stampo
neoliberista,
cancellando
di
fatto
la
possibilità
per
i
prossimi
governi
di
attuare
una
diversa
scelta
di
politica
economica
con
buona
pace
per
la
rappresentanza
politica
democratica.
Strada sbagliata e a senso unico. Le politiche economiche europee calate dall'alto tramite il braccio operativo dei governi nazionali hanno già dimostrato in molte occasioni la loro manifesta inadeguatezza. La disciplina di pareggio di bilancio imposta anzi, autoimposte dai singoli stati membri su loro stessi è sbagliata perché non si può pensare di imporre a realtà totalmente diverse tra loro un unica politica economica e fiscale valida per tutti. E non sto parlando di differenze di lingua e di cibo e costume, ma di dimensione economica, di capacitò produttiva, di produttività, di capacità di investimenti in R&D del settore privato: i membri dell'Ue sono tutti molto diversi, hanno economie molto eterogee, imporre a tutti la stessa minestra farà male ai più deboli, ma non avvantaggerà i più forti, causando un danno generale. Siamo distanti anni luce da un sano federalismo europeo, anche perché l'Ue non ha propria capacità di spesa o proprio bilancio - nel senso che il bilancio europeo è ottenuto tramite tasse nazionali. La scelta neoliberista è inoltre deleteria anche da un punto di vista prettamente democratico: imporre un unica visione del mondo, significa precludere certe politiche e quindi l'affermazione di alcune forze politiche su altre, danneggiando la democrazia stessa degli stati membri