Scritto per ilbolognino.info
La prima vera novità, e l'unica uscita
dai primi 40 minuti di conferenza stampa, è che
la forma legislativa non
sarà il decreto, ma
il disegno di legge.
Una scelta vincolata dal Presidente Napolitano che ha voluto così
non svuotare di responsabilità il Parlamento. Le modifiche alla
bozza governativa ci sono, ma l'impianto della stessa non viene
snaturato; la novità sostanziosa è che viene reintrodotto il
reintegro nei licenziamenti per causa oggettiva (economici).
Contenta la politica, scontenta la
Cgil, plaudenti i sindacati governativi Cisl e Uil, adirato il
padronato che vede sfumare una preziosa norma di ricatto dei
dipendenti.
La filosofia che regge l'impianto
legislativo che si va profilandosi è tutta riassunta in due frasi
pronunciate dal ministro Fornero: «Vogliamo più lavoro, più
partecipazione e lavoratori più produttivi» e «l'articolo 18 è
stato una conquista ma il mondo è cambiato». Il
governo individua nel
lavoratore pigro e anziano
il problema della scarsa
produttività del sistema
Italia e non nei veri problemi che allontanano gli
investimenti come la criminalità organizzata che controllo metà
Italia, la lunghezza e indeterminatezza dei processi civili,
l'inadeguatezza delle infrastrutture di trasporto, il costo
esorbitante dell'energia elettrica. Sarebbero infatti queste sopra
indicate le vere cause del ritardo strutturale italiano secondo
quanto affermano tutti gli imprenditori, e non la presenza di
lavoratori fannulloni, come pensa il governo.
In
una nota congiunta il
padronato esprime scontento:
Confindustria, Abi, Alleanza delle Cooperative Italiane e Ania
attaccano: «Inaccettabili la diversa disciplina per i licenziamenti
di natura economica e quella che va configurandosi per i contratti a
termine». Per capirci, ai
padroni non
sta
bene
proprio
la
reintroduzione
della
possibilità
di
reintegro per
i
licenziamenti
economici. La
reintegrazione nel posto di lavoro
per il licenziamento illegittimo anche economico è di più uno
spauracchio per l'imprenditore piuttosto che una concreta
possibilità, perché nessuno la usa mai – spiegano molti i
professori di diritto. Previsto in alternativa un indennizzo
variabile tra le 12 e le 24 mensilità.
Nella prima versione del ddl, invece, l’indennizzo era stato
previsto in 15-27 mensilità. Quindi nel disegno
di legge non c'è
più la differenziazione di
trattamento tra licenziati,
vero vulnus legislativo che
molti professori e studiosi avevano individuato nella precedente
bozza. In breve Confindustria, Abi, Alleanza delle Cooperative
Italiane e Ania vorrebbero lavoratori più servili ma sopratutto più
ricattabili.
Tuttavia rimane
l'impianto legislativo, cioè
il necessario ricorso al
giudice, temperato dalle possibilità alquanto aleatorie
di conciliazione (voglio vedere quanti licenziati senza giusta causa
vorranno utilizzare questa strada, basti pensare alle barricate
antisindacali di Fiat nei confronti dei propri lavoratori licenziati
perché appartenenti al sindacato Fiom!!!). Fornero infatti afferma «
spetterà a giudice decisione su "insussistenza delle ragioni
economiche», cioè spetterà al giudice capire se il licenziato è
stato cacciato per effettive esigenze economiche o perché
politicamente avverso all'imprenditore o perché di un colore della
pelle che non piaceva al padrone. Cosa questa complicatissima e che
quindi da ampia discrezionalità al giudice e ampia possibilità di
farla franca all'imprenditore che non rispetta le norme
Costituzionali.
Bersani, segretario
del Pd è gaudioso
«Passo importantissimo»; di logico e tutt'altro avviso
la segretaria Cgil Susanna
Camusso «No comment, temo sorprese». La segretaria si
aspetta tranelli legislativi sopratutto nella disciplina dei
licenziamenti collettivi, che ha paura, possano essere svuotati di
garanzie come è successo per i licenziamenti individuali. Stanziati
1,8 miliardi per rendere operativa la riforma, ma non ci sono nuovi
soldi per l'Aspi, vero punto d'orgoglio della ministra Fornero
e di cui abbiamo già spiegato che è un
ammortizzatore sociale che
non coprirà tutti.
Il
governo
creerà
anche
l'ennesima
commissione
per
valutare
come
verrà
applicata
nel
concreto
la
riforma.
Flssibilità
in
entrata,
rimane
il
contratto
di
apprendistato
come
strumento
per
entrare
nel
mondo
del
lavoro,
quest'ultimo
coperto
anche
dall'Aspi.
Per
ora
sono
solo
parole
visto
che
oggi
quasi
l'80%
dei
giovani
viene
assunto
a
tempo
determinato
e
che
solo
il
15%
ha
un
contratto
di
apprendistato.
Viene
aumentato
l'intervallo
fra
un
contratto
e
l'altro
da
10
a
60
giorni
per
quelli
che
durano
meno
di
sei
mesi
e
da
20
a
90
giorni
per
quelli
di
durata
superiore.
Di
solito
però
questo
intervallo
non
solo
non
ferma
la
continuo
abuso
imprenditoriale
della
successione
infinita
del
contratto
a
tempo
determinato,
ma
spesso si trasforma in
una trappola per il
lavoratore e quel periodo
per lui è un
periodo di disoccupazione.
Il senso della
riforma Monti
– Fornero
è
il
seguente:
facilitare
il
collegamento
tra
il
mondo
della
precarietà
e
il
mondo
dell'impiego
stabile,
ridurre
progressivamente
il
dualismo
del
mercato
del
lavoro.
Per
fare
questo
il
governo
utilizza
questi
4
strumenti:
rendere
più
costosi
i
contratti
a
termine;
premiare
la
stabilizzazione
degli
stessi;
punire
gli
abusi
sui
contratti
più
precarizzanti;
facilitare
i
licenziamenti,
in
particolare
per
motivi
economici,
cosicché
il
contratto
dominante
non
sia
percepito
dalle
imprese
come
permanente
e
indissolubile
come
è
accaduto
finora
con
l'articolo
18.
Tuttavia
l'intera riforma è
deficitaria perché
in
essa
mancano
i
veri
temi
che
affliggono
la
società
italiana
e
il
mondo
del
lavoro.
Non
risolve
la
dualità
del
sistema
perché
non
fa
nulla
per
ridurre
le
40
tipologie
diverse
di
contratti
precari
oggi
presenti,
non
aiuta
in
nessun
modo
i
precari
e
i
giovani
se
non
con
il
contratto
di
apprendistato,
non
favorisce
un
vero
reinserimento
degli
anziani
nel
mondo
del
lavoro
(ad
es
obbligando
le
grandi
aziende
ad
assumerli). Non
introduce un vero welfare
state onnicomprensivo di
stile europeo. Non fa
nulla per le lungaggini
burocratiche, per ridurre i
tempi biblici della
giustizia civile
che
spaventano
gli
imprenditori
esteri
ed
italiani,
che
infatti
nell'ultimo
anno
hanno
creato
un
milione
di
posti
di
lavoro...
all'estero.