La privatizzazione dell'acqua e le norme europee
post pubblicato in
Notizie, il 13 aprile 2010
L'acqua è già privatizzabile. Gli assunti “destra, a
favore della privatizzazione” e “sinistra contraria” sono fuorvianti.
Tanto è vero che la prima regione in Italia in cui si è privatizzata
l'acqua è la regione Toscana. Ben 25 anni fa.
In
Italia, maggioranza e opposizione (PD, IdV e Udc) hanno deciso che
l'acqua è un bene economico. Nel governo Prodi solo Rifondazione
Comunista, Verdi e Comunisti Italiani avevano posizioni contrarie alla
privatizzazione della gestione delle risorse idriche. Ostacolarono a
più riprese il decreto Lanzillotta e, in precedenza, anche la legge
Galli che trasformò l'acqua in bene economico. In realtà, nella
maggior parte dei comuni l'acqua è già affidata a società a scopo di
lucro (secondo il codice civile le Spa sono società per azioni a scopo
di lucro), che traggono profitti dalle nostre bollette. Fino al 10 settembre 2009, data in cui è stato approvato art. 15 del decreto 135/09, la gestione del servizio idrico integrato in Italia era normata dall'articolo 23 bis della Legge 133/2008
che prevedeva, in via ordinaria, il conferimento della gestione dei
servizi pubblici locali a imprenditori o società facendo largo
forzatamente all’ingresso di privati. Il decreto 135/09 – in osservanza
delle leggi europee sulla concorrenza nei servizi pubblici a rilevanza
economica – prevede l'affidamento della gestione ad aziende private o a
altri tipi di società mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica. In alternativa, la gestione è affidata a società a
partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non
inferiore al 40%. Tale legge prevede la cessazione degli affidamenti a
società totalmente pubbliche controllate dai comuni (in essere alla
data del 22 agosto 2008) alla data del 31 dicembre 2011 o la cessione
del 40% del pacchetto azionario. Fino a oggi non c'era gara, l'acqua
veniva gestita direttamente dal comune o da società municipalizzate:
società per azioni a capitale maggioritario pubblico.
Su
questo aspetto bisogna fare chiarezza. L'Unione europea non impone agli
stati membri la privatizzazione dell'acqua (art.14 TFUE e protocollo n.
26 del Trattato di Lisbona). Resta comunque la scelta degli stati
membri. Qualora un paese decida – è il caso dell'Italia – di
considerare la risorsa acqua un bene pubblico a rilevanza economica
(cioè vendibile e acquistabile, soggetto alle leggi del mercato) allora
la Ue impone il ricorso a gara e la privatizzazione di parte
dell'azionariato delle società concessionarie che partecipano
all'appalto o gara di gestione.
L'Europa ha imposto il principio
comunitario (direttive 92/50/CEE e 93/38/CEE) della distinzione tra
servizi di interesse economico-generale e servizi di interesse
generale, ovvero alla differenza tra servizi orientati al mercato e
servizi non orientati al mercato. La città di Parigi e altre grandi
città francesi vista l'inefficienza e i maggiori costi determinati
dalla politica di privatizzazione dell'acqua perseguita negli anni
Novanta, stanno tornando a un sistema pubblico.
In Italia i politici di entrambi gli schieramenti e buona parte dei mass media
affermano che il decreto 135 Ronchi-Fitto non prevede la
privatizzazione dell'acqua, semmai la "liberalizzazione". Si fa
riferimento al fatto che il decreto non prevede la possibilità di
vendere la risorsa, che resta di proprietà pubblica. Tuttavia le
infrastrutture necessarie (acquedotti, tubature, depuratori ecc..)
delineano il settore, dal punto di vista economico, come “monopolio
naturale”. Non è possibile liberalizzare un monopolio naturale: ogni
città ha un proprio acquedotto ed è impensabile che due società
dell'acqua possano competere. Per competere dovrebbero costruire
entrambe il proprio acquedotto e i consumatori avere la possibilità di
scegliere tra le due società. Ovviamente questo non è né possibile né
augurabile. Quindi la gara prevista per l'aggiudicazione della
concessione dell'acqua stabilisce il nuovo monopolista. Nelle città
dove l'acqua è gestita da società private, come Arezzo, Aprilia e
Agrigento, le tariffe e le bollette sono aumentate esponenzialmente e
non sono stati fatti i promessi investimenti nelle infrastrutture.
La
vera scelta politica è tra chi ritiene che l'acqua sia un bene
acquistabile e vendibile e chi ritiene che sia una risorsa
indispensabile alla vita e quindi un bene pubblico, dalla cui fruizione
nessuno debba essere escluso. Alcune amministrazioni in Italia, hanno
scelto quest'ultima strada. Comuni italiani come Roccapiemonte,
Prevalle, Fiorano Modenese, Napoli, Corchiano, Pietra Ligure,
Povegliano Veronese, Sommacampagna, Fumane hanno già inserito nel loro
Statuto un articolo a protezione dell'acqua, intesa come bene comune
pubblico. Questa decisione inevitabilmente ostacolerà la
privatizzazione delle risorse idriche in quei comuni. Il neogovernatore
della Puglia, Nichi Vendola ha trasformato la società per azioni che
gestisce l'acquedotto pugliese (che era a totalità d'azionariato
pubblica) in un ente pubblico, che non ha scopo di lucro.
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